Per lungo tempo questa “danza popolare” è rimasta quasi nascosta, relegata in piccole realtà dell’entroterra salentino, in quei territori dove era nata e si era radicata nel tempo, la Grecìa Salentina.
La riscoperta di questo “patrimonio culturale” e di tutta la musica popolare ha contribuito alla nascita di diversi gruppi musicali e tantissime produzioni artistiche che ancora oggi allietano le serate nelle piazze salentine. Oggi la pizzica si balla in tutte le piazze, tra i vicoli dei centri storici, nelle masserie, negli agriturismi, sul mare e sulle spiagge, nelle feste patronali: si balla sempre e solo pizzica!
Ma cos’è realmente la pizzica? Da dove arriva questa attitudine di ammaliare anche chi è incapace di tenere il tempo di una battuta?!
La pizzica, quella che si balla oggi nelle piazze e tra i vicoli dei borghi del Salento è una danza popolare che nasce dalla musica tradizionale salentina e dal tarantismo. Come tutti i balli ha figure e movimenti diversi a seconda del tipo di pizzica. Esistono infatti i passi della pizzica de core, di corteggiamento o quelli che mimano i duelli nella suggestiva danza delle spade la notte di S. Rocco a Torre Paduli. La caratteristica principale e comune a tutti è il ritmo incessante del tamburrello, un suono atavico dalla cadenza ritmata che riesce a risvegliare il desiderio inconscio di lasciarsi andare, un suono che ci riporta nei più profondi abissi del nostro passato più recondito restituendoci un vero e proprio beneficio. Sembrerebbe infatti, che il ritmo del tamburrello non sia altro che la rievocazione o l’imitazione del ritmo del cuore, il primo suono che l’orecchio umano sente prima ancora di nascere, nel grembo materno!
E se in passato il tamburrello ha accompagnato la storia più antica dell’uomo attraverso sacerdotesse e riti propiziatori, anche nelle feste dionisiache, oggi i cultori di queste tradizioni e della pizzica sono tantissimi. Da anni ormai appassionati e professionisti hanno ripreso gli antichi strumenti, i testi di vecchie canzoni popolari facendone oggetto delle loro produzioni ed hanno contribuito in questo modo alla divulgazione degli stessi brani in tutto il mondo.
Lu rusciu de lu mare, Pizzicarella mia, Bedda Ci dormi, sono solo alcuni titoli tra i più suonati e cantati nel Salento.
Nel bene e nel male quindi la pizzica oggi è divenuta un aspetto fondamentale dell’identità salentina che attrae ogni anno un numero sempre più numeroso di turisti da tutto il mondo. Evento culmine di questa nuova realtà è il grande Festival della NOTTE DELLA TARANTA che dal lontano 1997 è l’evento simbolo dell’estate capace di catalizzare ad ogni edizione, un pubblico sempre più numeroso. Nato dall’idea dei Comuni della Grecìa salentina e l’Istituto Carpitella, il festival si pone da sempre la promozione turistica del territorio salentino attraverso la valorizzazione del suo patrimonio culturale. Dal 2004 con l’esperienza delle precedenti edizioni nasce anche l’Orchestra della notte della Taranta che con sessanta musicisti salentini contribuisce a livello mondiale alla divulgazione della pizzica salentina nel mondo.
La pizzica è una danza popolare e come tutte le “arti poplari” nasce e si sviluppa nel popolo e dalle sue sofferenze trae la sua forza vitale e ne diventa parte integrante. Le sue radici affonderebbero negli antichi riti dionisiaci dei nostri avi e, attraverso i secoli, nel medioevo probabilmente confluirono nel tarantismo quindi nella credenza popolare degli effetti terapeutici della musica. La pizzica taranta infatti è il ballo terapeutico capace di curare gli attarantati, cioè coloro i quali erano stati punti dalla tarantola.
Il tarantismo era uno stato di malessere, isteria ed inquietudine che assaliva alcune donne (soprattutto donne) ad inizio di ogni estate, condizione causata dalla puntura di una particolare specie di ragno molto diffuso in tutto il Mediterraneo, la tarantola appunto. Era durante le messi nelle calde ed afose giornate di giugno, che la tarantola pungeva e la donna, l’attarantata, reagiva appunto con uno stato di malessere e di agitazione alleviati soltanto attraverso un vero e proprio rito accompagnato dal suono del tamburrello e del violino. La voce in paese si spargeva e le vicine si radunavano in casa della malcapitata. Quindi si convocavano i suonatori i quali, al ritmo incessante dei loro diversi strumenti, cercavano di carpire quale ritmo risvegliasse lo spirito della taranta. L’attarantata infatti, ascoltando il suono poteva ballare o semplicemente agitarsi forsennatamente, anche per vari giorni, fino a quando una volta pacata si poteva dire guarita. Lo stato di malessere però si ripresentava con le stesse modalità con cadenza annuale e nello stesso periodo corrispondente alla prima pizzicata.
E’ la terra del Rimorso infatti, il Salento, la terra della sofferenza e delle privazioni che ritornano inesorabili..la donna con le sue frustrazioni ed il suo stato subalterno… e forse, la taranta è solo il simbolo di tutto ciò. Il tarantismo dunque fu il fenomeno che si divulgò nel Medioevo e che trovò anche il modo di amalgamarsi con la fede religiosa; nel 1700 a Galatina si diffuse il culto per San Paolo che secondo la credenza, guariva gli attarantati: ogni anno l’appuntamento era (ed è ancora oggi ma con toni leggermente diversi) a Galatina nella cappella di San Paolo il 29 di giugno.
Qui le attarantate di tutto il Salento venivano per essere guarite bevendo l’acqua del pozzo adiacente la cappella (un’acqua benedetta), accompagnate dai musicanti-terapeuti, ballavano la pizzica lasciandosi trasportare dal suono del tamburrello e dei violini, mimando i movimenti della tarantola, libere da condizionamenti, il tutto era rappresentato sino all’eccesso, lo stato di depressione ed agitazione, l’isteria , lo stato di torpore, le urla. Ma alla fine il Santo faceva il miracolo. Dopo gli anni sessanta i tarantolati vengono considerati “fenomeni” di arretratezza culturale. E’ negli anni ottanta che invece si assiste ad una vera riscoperta e rivalutazione del patrimonio della pizzica.
Nel corso degli anni ottanta molti studiosi ma anche cultori delle tradizioni popolari salentine danno vita ad una serie di iniziative che porteranno in seguito al successo mediatico che poi ha avuto la pizzica a livello internazionale.
Il Canzoniere Grecanico Salentino che è il primo gruppo di ricerca folkloristica nato in Puglia, nasce nel 1975 grazie alla collaborazione della scrittrice Rina Durante che era stata una delle promotrici di un movimento nato per la riscoperta e la valorizzazione della cultura popolare salentina. Il Canzoniere Grecanico Salentino, grazie ad un paziente lavoro di ricerca, di analisi sul campo, ha contribuito alla realizzazione di pubblicazioni e registrazioni di voci di anziani che intonano la STRINA, i canti di lavoro, le serenate, i canti della passione di Cristo e li canti alla stisa, insomma la base sulla quale sono nati i gruppi di pizzica negli anni successivi.
Una prima ricerca culturale e antropologica sul fenomeno della pizzica-pizzica e del tarantismo era stata fatta negli anni sessanta da Ernesto de Martino nella sua LA TERRA DEL RIMORSO, un vero e proprio studio sul fenomeno nel territorio attraverso l’ausilio di antropologi, organismi religiosi, psichiatri , medici, gente comune, attarantati. Poi un periodo di oblio fino a quando, negli anni settanta in Italia cresce l’interesse per la ricerca sulla cultura popolare attraverso la nascita di un movimento nazionale di cui faceva parte anche la compositrice, insegnante di musica popolare Giovanna Marini. Fu tramite Rina Durante che Giovanna Marini venne nel Salento ne studiò i ritmi ed i suoni direttamente dalla voce della gente comune e ci ritornò più volte. Anche Pasolini venne nel Salento: la prima volta negli anni cinquanta con la realizzazione di un documentario sui canti funebri popolari; poi di nuovo negli anni sessanta e di nuovo nel 1975 in un incontro sulle lingue dialettali.
Nel 1997 un gruppo di comuni della Grecìa Salentina e non solo, sulla base delle ricerche precedenti e sul crescente movimento di interesse che la pizzica stava assumendo, diede vita all‘Istituto Carpitella. La creazione di questo istituto rappresentava una risposta concreta a tutti gli “studiosi” della cultura popolare salentina i quali da tempo chiedevano la possibilità di raccogliere in un unico archivio sistematico l’intero materiale raccolto da diverse fonti e da diversi enti in modo da aggiungere anche il successivo materiale raccolto con i futuri lavori di ricerca.
L’attività di ricerca era lo scopo principale e la promozione e la divulgazione sarebbe stato solo lo strumento per raggiungere tale scopo. Da qui il passo successivo sancisce la nascita del grande Festival de la NOTTE DELLA TARANTA, che ha portato la pizzica – pizzica nel mondo con un successo pubblicitario e mediatico senza eguali che ogni anno si ripete ad agosto con numeri sempre in crescendo.
E’ un festival itinerante che si svolge nell’arco dell’intera estate in alcune piazze del Salento e che si conclude con il Concertone finale, una serata conclusiva trasmessa dalle reti nazionali dalla bellissima piazza di Melpignano. Alle diverse edizioni che si sono succedute nel corso degli anni hanno collaborato maestri concertatori di fama internazionale ed artisti altrettanto famosi come Ligabue, Diodato, Giuliano Sangiorgi, LP, Max Gazzè, ma solo per citarne alcuni.
Forse questa grande popolarità ha i suoi limiti nel senso che la pizzica appare e viene accolta come il ballo che inebria con il ritmo incessante del tamburrello, che trascina e trasporta in un mondo sensuale e ricco di fascino dove anche i giovani si riconoscono. Non dimentichiamo però la vera essenza della pizzica: il ritmo del Salento e della sua sofferenza, non lasciamo che diventi una moda. Ma impegniamoci a continuare il lavoro di ricerca e, prima ancora che gli ultimi testimoni possano dimenticare, facciamo in modo di approfondire la ricerca e custodire i risultati che, non significa altro che la ricerca della nostra identità.
Dopo il periodo di oblio, via via che il fenomeno del tarantismo e la musica popolare entravano nel folklore salentino, la pizzica cominciò ad essere suonata, cantata e ballata tutto l’anno in ogni occasione pubblica o festiva. Alle “tarantate” si sostituirono ragazze in costumi folkloristici, esperte di questo ballo seducente.
Nata quindi dal rito pagano dell’esorcismo delle “tarantate”, la pizzica ha progressivamente acquisito autonomia come forma ritmica e musicale, e soprattutto come fenomeno popolare. Mentre il tarantismo si estingueva col mutare della società, la pizzica ha continuato a segnare il folklore salentino e a soddisfare spesso ancora oggi proprio quei bisogni per i quali era nata: l’affrancamento dalle frustrazioni, la liberazione del corpo, il corteggiamento e la seduzione.
Difficile, in questi ultimi anni, individuare una festa o una sagra, specie nel periodo estivo, che non comprenda l’esibizione di gruppi di suonatori e ballerini di pizzica nelle sue varianti (pizzica te core”, “pizzica-scherma”…). Ancor più difficile elencare perciò le manifestazioni di rilievo che rinnovano il fascino di questo ritmo e di questa danza. Per esempio a Melpignano, Acaja Torrepaduli, Galatina hanno luogo alcune delle rassegne più importanti, alle quali accorrono turisti e curiosi per confrontarsi con gli esperti musicisti (tamburellisti, violinisti, chitarristi, suonatori di cupa cupa…) e ballerini del Salento.
Ma nel corso dell’estate salentina i gruppi più famosi sono chiamati ad esibirsi in moltissime altre feste e concerti. Secondo molti studiosi, la pizzica salentina è la versione più antica e originale della tarantella, che conosce celebri varianti nel Napoletano e in Sicilia. Ma proprio nel Salento la tarantella è tuttora più viva che in qualsiasi altro luogo.
La pizzica può essere “suddivisa” in tre principali categorie, Pizzica de Core, Pizzica Tarantata e Danza delle Spade.
La pizzica de Core. E’ una danza di corteggiamento, un espressione caratteristica della tradizione popolare salentina, i due ballerini durante la danza sono molto vicini ma non si toccano mai, tutto si svolge con scambi di sguardi provocatori, diversi movimenti che dimostrano l’uomo corteggiatore, la donna corteggiata, la quale, però, sfugge se questi prova ad avvicinarsi. Una particolarità di questa danza è il fazzoletto rosso che la donna sventola in modo provocatorio, con il quale sceglie volta per volta il suo compagno di ballo colui che il capriccio le indica, a suo piacimento cambia “cavaliere” svariate volte ed in fine dona il fazzoletto solo alla persona che durante il ballo è stata in grado di rapirle il cuore assecondando ogni suo desiderio e fantasia.
Pizzica Tarantata. Secondo alcune credenze popolari il tarantismo era una malattia provocata dal morso della tarantola, questo piccolo ragno provocava uno stato di malessere generale. Durante il periodo della mietitura, le raccoglitrici di grano erano dunque esposte al morso velenoso di questo fantomatico animale. Solo la musica, danza e colori rappresentavano gli elementi fondamentali della terapia. Praticamente, un esorcismo musicale. Quando si riteneva che una ragazza fosse stata morsa dalla taranta si accompagnavano nella sua casa dei musici, o nella piazza pubblica, i quali con tamburelli, violini, organetti ed altri strumenti davano vita ad un ritmo frenetico con lo scopo di far ballare, cantare e sudare la ragazza fino allo sfinimento. Si credeva infatti che, mentre la “Tarantata” ballava per giorni, anche il ragno soffrisse e si consumasse fino a scoppiare. La tarantata si diceva, così, graziata da S. Paolo, veniva condotta presso la cappella del Santo, a Galatina (LE), beveva l’acqua sacra del pozzo adiacente ad essa e ripeteva simbolicamente un breve rito. Da tutta la Puglia convergevano carri carichi di ragazze che si ritenevano possedute e accorrevano ad implorare la grazia al santo.
Danza delle Spade o Scherma. La danza delle spade salentina secondo gli studiosi avrebbe origini molto lontane e sarebbe il risultato dell’amalgama di diverse culture, probabilmente di quella zingara con salentini insieme. Si tratta di una danza con la quale due contendenti mimano un vero e proprio duello seguendo il ritmo del tamburrello e della fisarmonica. La Un particolare genere che a differenza della pizzica non si balla in tutte le piazze ma la si può osservare soltanto durante la notte di San Rocco a Torre Paduli. Dalle prime ore del tramonto sino all’alba del 16 agosto, questo piccolo borgo dell’entroterra salentino, diventa il teatro di uno degli spettacoli più suggestivi dell’intera estate. In occasione della Festa di S. Rocco Torre Paduli nello spazio antistante il Santuario dedicato al Santo, le ronde dei danzatori si fanno spazio tra la folla e inizia la notte più lunga.
Il ballo è costituito da un complesso rituale accompagnato dal suono di armoniche a bocca e degli immancabili tamburelli. I movimenti mimano un combattimento con i coltelli, (si narra che un tempo, venissero veramente utilizzati), simbolicamente sostituiti dall’uso di una forte gestualità delle mani (la punta dell’indice e del medio protese) e attraverso ampie movenze delle braccia. Quindi i danzatori si “sfidano” in una sorta di duello rusticano. Lo scopo della danza è cercare di colpire (è più uno sfiorare in verità) l’avversario, e ogni gesto, simula i movimenti tipici della lotta con i coltelli, seguendo fasi fisse del combattimento: provocazione, attacco, difesa, finte, colpi proibiti. Altre regole del combattimento sono: non voltare mai la schiena all’altro, essere sempre vigili e tenere bene le distanze. Sono coinvolti solo due ballerini che, vengono sostituiti uno per volta da qualcuno del pubblico. Il pubblico, costituito generalmente da turisti, curiosi o devoti, fa cerchio intorno ai suonatori e ai ballerini, formando le cosiddette ronde o “rote” e “accompagnando” la musica, battendo vivacemente le mani, canticchiando e ridendo.
La tradizione popolare della pizzica salentina vanta un repertorio molto vasto di canti di lavoro, di serenate, canti d’amore e canti legati al ritmo del tamburrello che guarisce dal morso della taranta. Con il proliferare di gruppi musicali tutte queste canzoni sono ormai conosciute e ballate da tutti qui in Salento. Spesso le stesse canzoni sono rivisitate e riproposte in chiave diversa a seconda dell’artista che le rappresenta. In ogni caso fanno parte del grande patrimonio culturale di tutta la Puglia.
Pizzica Salentu terra mia
Musica e testo ” Salentu terra mia ” – Adriano Patera “La mia canzone per tutti gli emigranti salentini. “Salento terra mia” è questo il titolo della canzone che ho voluto dedicare a tutti gli emigranti salentini, ovviamente ho pensato di scrivere tale brano nel nostro dialetto, chiunque volesse ascoltare questo brano non esiti a chiedermelo. Ciao Adriano. “
Testo
LARGU TE CASA MIA
LA VITA M’E’ PURTATU
POVERA TERRA MIA
CA A MIE TUTTO MA TATU
INTANNI SU PASSATI
COMU A NU SENNU LENTU
MA INTRHA ALLU CORE MIU RIMANI TIE
E LA NOSTALGIA CA SENTU…
SALENTU TERRA MIA
PERCE’ NU TORNU A CASA MIA
PARTU LUNTANU
MA LU CORE RESTA A DDRHAI
INTRHU LI SENNI TOI….
Ascolta la canzone ” Salentu terra mia ” (Ascolta la Canzone) Testo: Sandro Pelle’ Musica: Adriano e Giuseppe Patera
Si ringrazia Adriano Patera per la gentile concessione.
Pizzica Aria de lu Trainieri Camina mo cavaddrhu ca te crida lu trainieri
na ca l’aria ca respira mo pe’ iddrhu ede la vita
Camina mo cavaddrhu ca alla fera imu rrivare
cu pijamu quattru sordi cu tirami a campare.
Mena cavaddrhu miu mena nu te fermare
ca l’aria ca respiru ede meiu de lu mare.
Quando sentu li to passi e lu trainu cantare,
camina mo cavaddrhu miu na camina nu te fermare.
Canta cavadrhu miu ca stu mundu face male,
canta cavaddrhu miu na cantà e nu te fermare.
L’aria ca respiri quando stau sullu tainu,
ede l’aria mo de vita de la libertà infinita.
Mena cavaddrhu miu nu fa te puzza sta ‘nchianata, ca a Nove te la ccattu te la ccattu la sonajera
Beddha ci stai luntanu
Beddha ci stai luntanu e bbo mme viti
nfacciate alla fenescia de lu punente
ci senti friddu suntu li mei suspiri
ci senti cautu ete stu core ardente
ci onde iti a mare nu lle timire
suntu te lacrime fiumi currenti
e cci pe l’aria senti uci e lamenti
su jeu ca te te chiamu e nnu me senti
allu paese meu se fila l’oru
a ddhrai se mangia sempre pane te cranu
Traduzione
Bella, se stai lontano e vuoi vedermi
affacciati alla finestra di ponente
se senti freddo sono i miei sospiri
se senti caldo è questo cuore ardente
se onde vedi a mare non le temere
sono di lacrime fiumi correnti
e se nell’aria senti voci e lamenti
sono io che ti chiamo e non mi senti
al mio paese si fila l’oro
li si mangia sempre pane di grano
Canuscu na’ carusa
Canuscu ‘na carusa tunna e beddha
vicinu casa mia staie te casa.
Iddha se chiama Nina e tene l’occhi
ca ci li guardi tie, te ne ‘nnamura
E’ propriu cusi beddha comu na stiddha
e ci uliti la vititi eccula quai.
Oh Nina, ci me piaci quannu balli,
ca comu balli tie, jeu essu pacciu.
Oh Nina, li capiddhi rizzi e niuri
la notte me li sonnu su lu cuscinu.
Oh Nina, quannu tocchi lu strumentu,
felice sinti tie e jeu cuntentu.
Però amici mei c’è dispettusa
jeu ne la mannu dire e iddha nu ‘mbole.
Oh Nina, chiui te guardu e chiui me piaci,
ca cu ddhe mosse toi, tie me scuncassi.
Oh Nina, te lu ticu a ‘nanzi tutti
ca jeu te oju bene cu te sposu.
Oh Nina, ci me sentu quannu te visciu,
lu sangu s’a massatu pe la bile.
Oh Nina, ci me sentu cu ballu cu tie,
lu sangu se scumpija pe l’amore.
La Rondinella
Sutt’acqua e sutta ientu navigami
e sutta fundu nata lu derfinu
Mamma la rondinella mamma la rondina
mamma la rondinella gira e vota e se ne va
Nui simu do’ calandri su lu ramu
e tutti doi l’amore nui facimu
Mamma…..
Ene lu ientu e cotula lu ramu
tienite Ninella ca se no catimu
Mamma….
Ca se catimu nui an terra sciamu
e simu te cristallu e ne rumpinu
Mamma…..
Vulia te tau ‘nu vasu alla ‘mpruvvisa
allu ssire e lu trasire della chiesa
Mamma…..
Vulia te tau ‘nu vasu scetta focu
cu te lu tieni pe’ ricordu miu
Mamma….
Mamma la ucca toa ce sapurita
me lassa sapurita puru la mia
Mamma…..
Lu tamburieddrhu
Lu tamburieddrhu miu vinne de Roma
ca me la ‘nduttu na napulitana
Lu tamburieddrhu miu è de Nucija
ca iata a ci lu tuzza e lu sturtija
Lu tamburieddrhu miu de Galatina
e ca fammela ballare sta signurina
Lu tamburieddrhu miu è de cocuzza
ca iata a ci lu pija e ci lu tuzza
Lu tamburieddrhu miu è chinu de rose
ca face scazzicare le caruse
Lu tamburieddrhu miu nu tene voce
ca tutti li cristiani mette ‘ncroce
Lu tamburieddrhu miu face ballare
tutte le caruseddrhe face nnamurare
Lu tamburieddrhu miu nu viziu tene
ca tutte le caruseddrhe face ballare
Nazzu Nazzu
E none none none
Nu mannare ca nu te ole,
ca aggiu mannatu ieu caggiu perse le parole
E nella nella nella
Carceratu lu purginella
Percè sta carciratu pe nu ciucciu ca a ‘rubbatu
E turi turi turi
Su te Lecce li sonaturi
E le zzita te Scorrano beddha mia tamme la manu
E no no no
Sta passa la zita te N’Toni Calò
Va vistuta cu panni te sita N’Toni Calò sta passa la zzita
E terra terra terra
Dummala stutala la lanterna
Na mò ca la stutata dummala stutala naddha fiata
E nazzu nazzu nazzu
La paparina cu lu lapazzu
Na ca senza nu la fazzu la paparina ci ‘mmela fazzu
E none none none
Nu ne ommu bascia a ffore
Ete ommu stescia a casa ne cumanna lu servitore
E nazzu nazzu nazzu
Tantu beddhu ci me lu fazzu
Lu vitune le zitella se lu portane in palazzu
Pizzicau lu core
canzone per ballare la Pizzica te core, dove i passi di ballo dell’uomo che segue la donna vengono paragonati al corteggiamento dei colombi. La sensibilità dell’uomo si esprime attraverso le mani che circondano il corpo della donna.
E mamma comu balla la taranta la pizzicau
ne pizzicau lu core mamma mia ci dulore.
Na na na comu balla fijata,
ne pizzicau lu core mamma mia ci tulore.
Beddha ci a mare vai a mare vegnu
ci visciu ca te mini mè nè tornu.
Beddha lu pettu tou tuttu ‘muddhica
ca jata ci lu pija e lu spuddhica.
Cummare te li cciu li puddasceddhi
cu la scupetta te lu maramiau.
Ballati caruseddhi a cucchia cucchia
la donna sè ‘luntana e l’ommu cucchia.
Ballati caruseddhi a paru paru
cumu palombi te lu palumbaru
Lu tamburreddhu meu vinne te Roma
e jata ci lu zzicca e ci lu sona.
E mamma comu balla la taranta la pizzicau
ne pizzicau lu core mamma mia ci dulore.
Na na na comu balla fijata,
ne pizzicau lu core mamma mia ci tulore.
Pizzica: Ninella di Calimera
Ninella Ninella mia di Calmiera
Li campaneddhi toi ci te li sona
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Ne l’aggiu tittu e la mamma nu m’bole
Ca me dumanni mie ci t’aggiu ffare
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Mamma mamma va coji le caddhine
Vidi ca manca lu meju capone
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Quiddhu ca porta le pinne turchine
Lu capitanu de lu battaglione
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Dici ca nu me olune li toi
Ieu mancu oiu tie giacchè lu sai
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Partite sola sola veni veni
Ca se nu veni e segnu ca nu me ami
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e larilullà.
Quantu t’amau t’amau lu core miu
Ca mo nu te ama chiui se n’ha pentutu
E zumpa Ninella Ninella Ninà
Zumpa Ninella ricciu bella e laril
Passai te lu sciardinu
Passai te lu sciardinu e quasi quasi
ca addhai me l’aggiù fatta tuttu osci
Nc’ era na caruseddha e me tisse trasi
trasi giovane miu ca trovi cose
Addha intra nc’era persiche e cerase
ieu pe guardare a lei nuddha me ccosi
Giacchè nun piji persiche e cerase
apri lu piettu miu ca nc’è ddo’ rose
Quando nascisti tie bocuzza duce
a Palermu vi’ ce festa ca se fice
Tutti li giovanotti te na’ voce
a tie volevano fare imperatrice
Nu pozzu chiù cantare persi la voce
la persi l’auddha sira alla fornace
La persi sutta n’alberu te nuce
pe’ ‘na zitella ca nu’ dia la pace
Pizzica: Voce e Tamburo
E lu tamburieddhu miu vinne de Roma
ca lu tamburieddhu miu vinne de Roma
e mannaggia ci lu tuzza, ca mannaggia ci lu tuzza
e mannaggia a ci lu tuzza e ci lu sona
ma ci lu sona, ma ci lu sona
e mannaggia ci lu tuzza e ci lu sona.
E ballati cu bu casciane li piedi
e de sotta le scianucche pari pari.
E passai de nu sciardinu quasi quasi
ca iu quasi quasi me ne sciei tutt’osci.
E trovai na signurina disse trasi
e trasi giovine miu ca te riposi.
E me convitau le mile e le cirase
ca io pe’ guardare lei mile nu bosi.
E giacchè nu boi né mile e cirase
e apri lu pettu miu trovi do’ rose.
E passa lu ientu e cotula lu ramu
e tenite beddha mia cu nu cadimu.
E ca se cadimu nui an terra sciamu
e ca de cristallu simu e ni rumpimu.
E tutti me lu vantara lu trappitue
me lu vantava ci nun era statu.
E ca d’intru avia sempre ‘n omu stisu
e de sette parmi e menzu mmesuratu.
E se ‘lli dici de si sta bocca canta
e se ‘lli dici de no sta all’obbedienza
Pizzica: con Flauto
E nia e nia e ni
e la mamma fimmena ulia
e lu tata masculieddhu
se lu porta alla fatia
E nazzu nazzu nazzu
la paparina cu lu lapazzu
na ca senza lu lapazzu
la paparina ce me la fazzu.
E tuti turi turi
su de Lecce li sonaturi
e la zzita è de Scorranu
beddha mia damme la manu.
Nella nella nella carceratu u pulcinella
e percè stae carceratu
pe nu ciucciu ca ha rrubbatu.
E nella nella nella
ddumala e stutala la lanterna
e ca mo’ ca l’hai stutata
ddumala e stutala n’addha fiata.
E ni na ni na ni na
beddha l’amore e ci la sape fa.
Canto popolare salentino: Sale
Sale, vulia mangiare cent’anni sale
pe ‘na donna ca me disse su dissapitu
La mamma de la fia na bbona donna
cent’ anni me paria la chiamu mamma
Ne l’aggiu dittu alla mamma e nu bole
ca me dumanni a mie ce t’aggiu fare
T’ ha fattu li capiddi de Sant’ Anna
lu nome te lu mise la Madonna
Fammene bedda mia fammene tante
ca una fazzu ieu vale pe tutte
mannaggia la ricchezza e ci la tene
ca pe la ricchezza bbandunai l’amore
Comu ole bbascia bbegna la furtuna
basta ca nu ne sona la campana.
Menai le razze e lu cielu tuccai
ma pijare le stelle nu potei
Pensa, disse lu sule, mò ce ffai
nu ‘sai ca brusciane li raggi mei
Vitti e nu vitti ahimé, pacciu restai
vitti lu cielu pintu e poi no ‘cchiui
Traduzione
Sale, vorrei mangiare cent’ anni sale
per una donna che mi disse insipido
La mamma della ragazza, una “buona donna”
non vedo l’ora di chiamarla mamma
Ho già parlato con mia madre e non vuole
che lo chiedi a me, che ti devo fare ?!
Ti sei fatto i capelli come Sant’ Anna
il nome te lo mise la madonna
Fammene bella mia fammene tante
che una faccio io vale per tutte
“mannaggia” la ricchezza e chi ce l’ha
che per la ricchezza abbandonai l’amore
come vuole andare e venire la fortuna
basta che non mi suona la campana
Alzai le braccia e il cielo toccai
ma pigliare le stelle non potei
Pensa, disse il sole, ora che fai
non sai che bruciano i raggi miei
Vidi e non vidi ahimé, pazzo restai
vidi il cielo dipinto e poi niente più
Questo brano è una pizzica tarantata dove invoca la grazia del Santo per il morso subìto della taranta, il brano si conclude con la rievocazione del morso stesso.
Lu Santu Paulu meu te le tarante,
ca pizzichi le fimmine a ‘mmenzu l’anche.
Lu Santu Paulu meu te li scurpiuni
ca pizzichi li masculi a li cuiuni.
Lu tamburreddrhu meu vinne te Roma
ca me la nnuttu nà napulitana.
Ballati caruseddhi a cucchia cucchia
ca la donna sè luntana l’ommu cucchia.
Ballati ca tiniti le scarpe nove,
le mie su vecchie nu pozzu ballare.
Beddhu ci balla moi, beddhu ci balla
ca balla nu cardillu e na colomba.
Lassatila ballare ca è tarantata
ca porta na taranta sutta lu pete.
Lu tamburreddrhu meu vinne te Roma
cu rame e senza rame ca sulu sona.
Ci viti ca se cotula lu pete
quiddhu e lu segnu ca ole ballare.
Ci è taranta lassala ballare
ci è malincunia cacciala fore.
Pizzica: tarantella
Simu venuti quai pe ‘na cantata,
pe ‘na cantata e pe ‘na sunata,
pe ‘na cantata e pe ‘na sunata!
Forza ballati!
Ballati ca teniti le scarpe nove,
le mie su becche e nà, le mie su becche e nà,
le mie su becche e nu pozzu ballare!
Girati, girati!
Santu Paulu miu de le tarante
pizzica le caruse, pizzica le caruse,
pizzica le caruse a mienzu l’anche!
Lassatila ballare la tarantata
ca porta la taranta, lu focu cu la vvampa,
ca porta la taranta intra allu pede.
Girare, ballare!
E Santu Paulu miu de li scursuni,
pizzica li carusi, pizzica li carusi
pizzica li carusi a li carzuni.
Ballati ca teniti le scarpe nove,
le mie su becche e nà, le mie su becche e nà,
le mie su becche e nu pozzu ballare!
Sta balla lu zi ‘Ntoni, lu Pascalinu,
sta bella tarantella, sta bella tarantella,
sta bella tarantella lu primu canta
Lu sule calau
E lu sule calau calau
mena patrunu ca me ne vau
E ci nu me ne porti
me settu an terra e fuzzu carotti
E li fazzu funni e larghi
quannu passi cu ste stampagni
E li fazzu larghi e funni
quannu passi cu te scunfunni
E lu sule calau li munti
mena patrunu facimu li cunti
E lu sule calau li risi
mena patrunu tamme turnisi
E lu sule calau le tende
allu patrunu lu muccu li pende
E ci te pende a fare
pe ddri to sordi ca na dare.
Traduzione
e il sole calò
sbrigati padrone che io me ne vado
E se via non mi porti
mi siedo a terra e scavo buche
e li scavo profondi e larghi
affinchè quando passi cadi rovinosamente
e li faccio larghi e profondi
affinchè quando passi cadi in fondo
e il sole calò (dietro) i monti
sbrigati padrone facciamo i conti
e il sole calò i raggi
sbrigati padrone dammi i soldi
e il sole calò le tende
al padrone il mocco gli pende
e che gli pende a fare
per quei due soli che ci deve dare
Fimmine fimmine
Canto di lavoro diffusissimo in tutto il Salento, denuncia ironicamente l’ingiustizia dei padroni, veniva cantato durante il lavoro dei campi, soprattutto durante la coltura del tabacco.
Fimmine fimmine ca sciati allu tabaccu
ne sciati dhoi e ne turnati quattru.
Ci be lu tice cu chiantati lu tabaccu
la titta nù be ta li tiraletti.
Ca poi li sordi be li benedicu
cu bè cattati e noci pe natale.
Te lu ticu sempre cu nu chianti lu tabaccu
lu sule è forte e te lu sicca tuttu.
Fimmine fimmine ca sciati alle ulie
cujiti e fitte e puru le cijare.
Fimmine fimmine ca sciati a vinnimare
e sutta lu cippune be la faciti fare.
E Santu Paulu meu te le tarante,
pizzichi le caruse a ‘mmenzu l’anche.
E Santu Paulu meu te li scursuni
pizzichi li carusi alli cujuni.
Mamma se nu me ‘nzuri iu me la taju
sotta lu focalire me la ‘ppendu;
mo me la ‘ppendu, mo me la ‘ppendu
sotta lu focalire me la ‘ppendu.
E quantu l’aggiu dare ma cu lu maju
me la rinducu a pilu de cuniju;
ma de cuniju, votala ‘ntorna
me la raffinu a pilu de cuniju.
Amame bella mia ca tegnu cose
tegnu nu panerinu de cerase;
mo de ciarase, mo de cerase
tegnu nu panarinu de cerase
L’amore vecchia quandu se ‘bbandona
cu na girata tuttu se rinnova;
mo se rinnova, mo se rinnova
cu na girata tuttu se rinnova.
Azzate ca ha sunatu mattutinu
l’arba è fatta e ha lucisciutu chiaru;
lucisciutu chiaru, lucisciutu chiaru
l’arba è fatta e ha lucisciutu chiaru.
Amame bella mia ca tegnu cose
tegnu nu panerinu de cerase;
mo de ciarase, mo de ciarase
tegnu nu panarinu de ciarase.
La donna ci de amanti tene doi
la vidi sempre allegra e mara mai;
mo mara mai, votala ‘ntorna
la vidi sempre allegra e mara mai.
Na sera me chiamara ma cu bba cantu
retu na strittuleddha no sapia;
mo no sapia, votala ‘ntorna
retu na strittuleddha no sapia.
‘Ncera na carusella ma senza mamma
all’ ombra de la lucerna sta cusia;
mo sta cusia, mo sta cusia
retu na strituleddha sta cusia.
Pizzicarella
E’ senz’altro il brano più conosciuto e cantato nel Salento. Canto passionale dove la giovane innamorata affida ad una rondine il suo messaggio d’amore per il proprio amante lontano.
Pizzicarella mia pizzicarella
lu caminatu tou….
….pare cà balla.
Te l’ura ca te vitti te ‘mmirai
nu segnu fici a menzu….
….l’occhi toi.
Ca quiddhu fu lu segnu particulare
cu nu te scordi mai te….
….l’amore tou.
Amore amore ci m’hai fattu fare,
te quinnicianni m’hai….
….fatta ‘mpaccire.
Te quinnicianni m’hai fatta ‘mpaccire
te mamma e tata m’hai….
….fatta scurdare.
Quantu t’amau amau lu core meu
mò nù te ama chiui….
….se n’ha pentitu.
Canto passionale gallipolino, narra di un amore impossibile, impedito, in un periodo in cui le differenze di classe erano molto vive, tanto che l’autore le paragona al conflitto tra turchi e spagnoli, storici invasori della nostra terra.
Na sira ieu passai te li patuli,
e ‘ntisi le cranocchiule cantare.
A una una ieu le sintia cantare,
ca me pariane u rusciu te lu mare.
U rusciu te lu mare e mutu forte,
la fija te lu re se ta alla morte.
Iddha se ta alla morte e ieu alla vita,
la fija te lu re sta se ‘marita.
Iddha sta ssè ‘marita e ieu me ‘nzuru,
la fija te lu re me ta nu fiuru.
Iddha me ta nu fiuru e ieu na parma,
la fija te lu re sta ba alla Spagna.
Iddha sta bbà alla Spagna e ieu n’Turchia,
la fija te lu re la zzita mia.
E vola vola vola, colomba, vola,
e vola vola vola, colomba mia….
….ca ieu lu core meu te l’aggiu ddare
E vola vola vola, colomba, vola,
e vola vola vola colomba mia….
….ca iue lu core meu, te l’aggiu datu.
NINNA NANNA
Nanna pò, nanna pò, Nanna po’, nanna pò
stu fio meu a cci lu do, questo figlio a chi lo do
e lu do alla befana e lo do alla befana
cu se lu tene nna settimana, che me lo tenga una settimana,
e lu do al bove nero o lo do al bove nero
cu se lu tene n’annu ntero che me lo tenga un anno intero
nanna po’, nanna po’. Nanna po’, nanna po’
O Diu quantu sta casa è benedetta
Oh Dio quanto è benedetta questa casa
È nata ‘na bellissima creatura: in essa è nata una bellissima creatura
ciunca la vide se rimane all’erta, chiunque la veda rimane sbalordito
ci non è nnamurato, se ‘nnamura. Chi non è innamorato, se ne innamora
Hai vistu mai la rosa quannu è pperta? Hai visto mai una rosa aperta?
Cusì è la facce de quidda creatura. Così è il viso di quella creatura.
E’ bella ed è ngraziata e crisce onesta, E’ bella, ha grazie e cresce onesta,
Diu cu li manna ‘na bbona fortuna. Dio le mandi una buona fortuna.
Sia benedetto ci fice lu munnu
Sia benedetto ci fice lu munnu Sia benedetto chi creò il mondo.
Comu lu seppe bello a situare. Come lo seppe fare bene.
Fice la notte, poi fice lu giurnu Fece la notte, poi fece il giorno
E po la fattu criscere e mancare, poi l’ha fatto nascere e morire,
fice lu mare tantu cupu e funnu fece il mare tanto cupo e fondo
ogni vascello pozza navigare. In modo che ogni nave potesse navigarlo
Fice lu sule e poi fice la luna Fece il sole e poi fece la luna
Poi fice l’occhi de la mia patrona. Poi fece gli occhi della mia donna (patruna d’amore)
Fice lu sole e poi fice ‘na stella fece il sole e poi fece una stella
Poi fice l’occhi toi cara mia bella. Poi fece gli occhi tuoi cara mia bella.
La Cerva
‘Nu giurnu sci a caccia alla foresta Un giorno sono andato a caccia in una foresta
intra lu boscu de Ninella mia nel bosco della mia Ninella
ncontrai na cerva e li troncai la testa incontrai una cerva e le troncai la testa
morta nu’ bera e lu sangu scinnia. Non era morta e il sangue scorreva.
se nfaccia la patruna de la finestra: Si affaccia alla finestra la padrona:
non ammazzar la cerva ca è la mia ! non ammazzare la cerva che è mia !
nu su vanuto pe mmazzar la cerva, Non sono venuto ad ammazzare la cerva
ieu su vanuto pe amare a tie. Sono venuto per amare te.
Filastrocca salentina
Manu lesa, manu lesa,
tuppa tuppa la teresa,
tuppa tuppa lu tuzzune,
mo te ncoddu ‘nu mmuffattune
Non è possibile tradurla,
La mano addormentata,
si recita in modo cadenzato
tenendo il polso del bambino al quale si
vuole fare lo scherzo,
al ritmo della filastrocca si fa muovere il polso
ed alla fine …..gli si dà un affettuoso
“muffattune”
Scioglilingua salentino
Cuntu cuntu quindici Conto e riconto quindici
Ca quisti no’ su’ quindici ma questi (le dita di una mano)
Ca ieu li mmisurai ma io li ho contati
E sempre quindici trovai e sempre quindici ne ho trovati
Le Tre sorelle
Noi siamo le tre sorelle venute da lontano,
Noi siamo le tre sorelle venute da lontano.
Susanna la più piccola si mise a navigar…
Susanna la più piccola si mise a navigar.
E mentre navigava l’anello le cascò
E mentre navigava l’anello le cascò.
Passò di lì un bel marinaio..
Passò di lì un bel marinaio.
O marinaio dell’onda pescatemi l’anello,
o marinaio dell’onda pescatemi l’anello.
Se io Vi pesco l’anello Voi che cosa mi date?
Se io Vi pesco l’anello Voi che cosa mi date?
Vi do un sacchetto pieno di bei scudi d’or…
Vi do un sacchetto pieno di bei scudi d’or.
Ma quelli non li voglio , voglio un bacin d’amor…
Ma quelli non li voglio, voglio un bacin d’amor.
Stasera vieni a casa quando papà non c’è
Co’na mano apri la porta con l’altra abbracci a me.
Cuntu Cuntu quindici
Cuntu cuntu quindici Conto e riconto quindici
Ca quisti no’ su’ quindici ma questi (le dita di una mano)
Ca ieu li mmisurai ma io li ho contati
E sempre quindici trovai e sempre quindici ne ho trovati
Pizzica: le tre sorelle
Noi siamo le tre sorelle venute da lontano,
Noi siamo le tre sorelle venute da lontano.
Susanna la più piccola si mise a navigar…
Susanna la più piccola si mise a navigar.
E mentre navigava l’anello le cascò
E mentre navigava l’anello le cascò.
Passò di lì un bel marinaio..
Passò di lì un bel marinaio.
O marinaio dell’onda pescatemi l’anello,
o marinaio dell’onda pescatemi l’anello.
Se io Vi pesco l’anello Voi che cosa mi date?
Se io Vi pesco l’anello Voi che cosa mi date?
Vi do un sacchetto pieno di bei scudi d’or…
Vi do un sacchetto pieno di bei scudi d’or.
Ma quelli non li voglio , voglio un bacin d’amor…
Ma quelli non li voglio, voglio un bacin d’amor.
Stasera vieni a casa quando papà non c’è
Co’na mano apri la porta con l’altra abbracci a me.
Serenata d’amore in griko antico scritta da Vito Domenico Palumbo (1856-1918), l’autore scrisse 8 strofe per la propria amata. Questa canto è ritenuto patrimonio della tradizione orale salentina.
Tien glicea tusi nifta ti en òria
cìevò plonno pensèonta ‘ss’esena
C’ettù mpì ‘s ti ffenèstra ssu agàpi mu
tis kardia mmu su nifto ti ppena.
Larilò larilò lallerò, larilò larilò llà llà……
Evò panta ss’esena penseo
jati ‘sena, fsichi mmu ‘gapò
ce pu pao, pu sirno, pu steo
sti kkardìa panta sena vastò
Larilò larilò lallerò, larilò larilò llà llà……
Kali nifta se finno ce pao
plaia ‘su ti vo pirda prikò
ma pu pao, pu sirno pu steo
sti kkardia panta sena vastò.
Larilò larilò lallerò, larilò larilò llà llà……Tien glìcea tusi nìfta, ti en òria
C’ evò e’ plonno pensèonta ‘ss’esèna,
C’ettu-mpì ‘s ti’ ffenèstra-ssu, agàpi-mu,
Sti kardia-mu su nìfto ti ppena.
Evò panta ss’èsena penseo
jatì’ sena, fsichi-mmu ‘gapò
Ce pu pao, pu sìrno, pu steo,
sti kkardia panta sena vastò.
Lalallalalero……..
C’isu mai de m’agapise, oriamo
e su ponise mai pu se mena;
mai citt’orria chili su en onitse
na mu pi loja agapi vloimena
T a’steracia, pu panu, me vlepune
Ca mo fèngo frifizzun nomena,
Ce jelù ce mu leone: ston anemo
ta traudia pelisi, i chamena.
Lalallalalero……..
Kalì nifta se finno ce pao
plaia ‘su ti vo pirta prikò
ma pu pao, pu risno pu steo
sti kkardìa panta seno vastò
TRADUZIONE
Com’è dolce questa notte, com’è bella
e io non dormo pensando a te
e qui sotto la tua finestra, amore mio
del mio cuore ti apro la pena
Io sempre a te penso,
perchè te, anima mia, amo,
dove io vada, o fugga, o stia
te sempre porto nel mio cuore
Lalallalalero……..
E tu mai mi hai amato, mia bella,
non hai mai avuto sofferenza da me
non hai mai aperto queste tue belle labbra
per dirmi parole benedette d’amore
Le stelline dall’alto mi guardano
e di nascosto parlano con la luna
sorridono e mi dicono: “al vento
le canzoni fatte sono perdute”
Commento scritto da antonio - 10/09/2012
anche se la vita mi ha portato lontano sempre nel cuore stanno le mie radici salentine e sono orgoglioso di essere nato nel posto piu' bello d'italia ,la pizzica lu core lu mare lu meju lu sule te scarfa lu jentu te dhifisca lu salentu sempre ntha lu core
Commento scritto da valerio pistoia - 03/06/2012
la pizzica salentina la vera storia del salento lu sole lu mare lu ientu
Commento scritto da grazia - 19/01/2011
il salento mi è rimasto nel cuore !!!! e la pizzica è molto bella e coinvolgente ! infatti il pensiero che quest'anno dopo tre anni di seguito nn potrò essere lì in estate mi fà star male !!!!!
Commento scritto da salvatore - 28/07/2010
La musica popolare del Sud Italia è parte integrante della musica popolare mondiale. L'incontro delle varie identità culturali e delle tradizioni popolari costituisce una grande opportunita per rilanciare la ricerca e la compresione di questo fenomeno sociale ricco di emozioni, di sonorità, di canti, di sentimenti, di passioni e d'amore.
Commento scritto da antonio scorrano - 23/06/2010
emigrando a morciano di romagna dovetti lasciare la mia terra che amo tanto dove vivono i miei figli salento la terra più bella che c'è lu paese de li pasicciotti te li rustici e delle belle donne ti amo salento bay antonio scorrano con tutto il cuore
Commento scritto da croci - 26/06/2009
il salento è una terra irripetibile nel resto del mondo. benedetto da dio perchè quel giorno era di buonumore. la gente è dolce, genuina e chiara nelle gesta e nelle parole. benedetto salento. Io manco da 50 anni ma non ho smesso mai di amarti. il resto del mondo, anche se bello anch'esso, non può reggere il confronto. la nostalgia non ingrandisce i ricordi, ma li rimpicciolisce per non perderli dal cuore...
Commento scritto da uzzetto - 06/11/2008
amo la pizzica....la ballo sempre......è meravigliosa ......ascoltatela sempre ....in modo da divertirci e acculturarci attraverso le storie passate del salento......ciaoooooo
Commento scritto da Gigi Placido - 12/10/2008
Salve, suntu nnu Leccese ca stae fore te casa dallu '59 (uno te dhri famosi ca partianu cu la valiggia te cartune in cerca te fatia!!).- Mo su nnu ecchiarieddhu (nu ttantu ecchiu) ca vive ormai sulu te dushi ricordi te la a noscia Amata Terra, quindi grazzie pe sta ventata frisca.- Chiedu, oltre allu testu te le canzuni,hulìa ssacciu come se face cu ssento la MUSICA.- Se nun 'mbe possibile Auguri e grazie lostessu Gigi
Commento scritto da riccardo castrignano - 18/02/2008
quanto erano saggi i vecchi...la donna ca de amanti tene doi la vidi sempre cuntenta e mara mai....e lo stesso vale x l'uomo...amo il salento e tutto ciò che lo costituisce...SANTA MARIA DI LEUCA NON VEDO L'ORA D ARRIVARE DA TE!!!!by riccardo