Il Capo di Leuca è fra i territori del Salento quello maggiormente interessato al fenomeno della scomparsa di Casali e insediamenti vari nel corso dei secoli: è qualcosa, a dire il vero, che affonda le radici nella notte dei tempi, in epoche remote nelle quali solo in questi ultimi tempi l’archeologia sta facendo luce con risultati sorprendenti. In molti casi, anzi, gli scavi hanno confermato la veridicità di quelli che troppo a lungo sono stati ritenuti favoleggiamenti dei vari Marciano, Ferrari, Tasselli, Cataldi, ecc. Ad esempio, le cinque campagne di scavi condotte consecutivamente negli anni 1987 – 1991 dall’équipe di archeologi australiani dell’Università di Sidney sotto la guida del Prof. Jean-Paul Descoeudres (1) condotte a termine sul terreno denominato “Chiusa” presso la masseria del Fano in territorio di Salve, hanno portato alla luce un sito arcaico che nel corso di circa un millennio ha accolto tre villaggi, il primo intorno alla metà del XVI sec. a. C. (indicativamente in concomitanza con l’o ccupazione di un altro sito nei pressi della masseria Spigolizzi), il secondo nel X sec. a. C., il terzo intorno al 550 a.C., per poi essere abbandonato definitivamente nel decennio 480 – 470 a. C.. E’ certo che ad attirare in zona questi protoabitatori del Capo di Leuca fu l’esistenza di una sorgente perenne di acqua dolce che sgorga dall’interno di una grotta lungo l’omonimo Canale dei Fani.
E’ ovvio che la mente, a questo punto, corre veloce alla leggendaria Cassandra tradizionalmente immaginata nella contrada in oggetto ed oggi, finalmente, tornata alla ribalta: se ai tempi del Marciano è testimoniata l’esistenza ancora di qualche rudere (tombe, frammenti di ceramiche, monete, reperti vari); se nel 1930 il ritrovamento in zona del famoso “Tesoretto di Salve” (67 monete d’argento del IV-III sec. a.C. coniate in diverse città della Magna Grecia e conservate nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Taranto fino alla loro pubblica esposizione allestita nell’Hotel Costa Brada di Gallipoli il 17 ottobre 1999 a cura dell'allora presidente dei Lions Club di Casarano (LE) Prof. Gino Meuli durante un meeting sui "beni culturali del Salento" a cui parteciparono il Generale dei Carabinieri Conforti e altre autorità ) lasciò sorpreso l’orizzonte archeologico; se, ancora in zona, nel 1931 il ritrovamento di una iscrizione messapica databile al III sec. a.C. e conservata in più frammenti lapidei presso il Museo Civico di Gallipoli, scatenò una selva di interpretazioni coinvolgendo gli studiosi più accreditati (dal Ribezzo al Whatmough, al Vacca); se, infine, nel 1983 veniva reso noto al mondo della cultura il ritrovamento –sempre nel medesimo comprensorio- del prezioso Alfabetario di Salve inciso su un frammento di vaso votivo databile al VI sec. a. C. e attualmente conservato presso l’Istituto di Archeologia dell’Ateneo salentino, contribuendo ulteriormente all’arricchimento del patrimonio archeologico sul fronte messapico, oggi finalmente –e soprattutto grazie agli australiani di Descoeudres- è possibile continuare con maggiore forza, sistematicità e rigore scientifico (con il solo supporto della documentazione) il lavoro intrapreso e riscoprire i fili che tengono legati i Fani a Cassandra: in questa ipotesi di ricerca deve trovare spazio il collegamento con un altro ennesimo Casale scomparso in feudo di Salve, il Casale di S. Biagio ( meglio noto fra la gente del luogo con la denominazione dialettale di Santu Lasi). Oggi si erge solitaria nella contrada un’antica chiesetta, al cui interno recenti restauri voluti dall’Amministrazione Comunale hanno restituito preziosi affreschi risalenti al sec. XIII; però la popolazione locale sa bene che ab immemorabili sono stati trovati i reperti più svariati durante l’esecuzione di normali lavori agricoli, dalle monete alle tombe ed agli orci per derrate alimentari: molti elementi fanno ritenere che la scomparsa di questo Casale risalga al sec. VI d. C., quando tutta l’Italia meridionale –e in particolar modo il Salento- fu teatro della terribile guerra fra i Greci e i Goti.
A poco più di due chilometri di distanza dai Fani, in direzione est, sulla collina di Vereto ricadente in territorio comunale di Patù, la mitica Yria erodotea da vari decenni dispensa reperti venuti alla luce a seguito di fortuiti ritrovamenti: iscrizioni messapiche risalenti al VI sec. a.C., arredi funerari attualmente custoditi presso il Museo Provinciale “S. Castromediano” di Lecce, bronzetti, lacerti di mura megalitiche, monoliti in tipico carparo bastardo utilizzati nelle maniere più svariate come materiale di spoglio asportato da antichissime strutture e templi propri della prima città fondata dai Messapi in territorio salentino. L’argomento è stato a lungo studiato (2), al punto che in questi ultimi anni è scaturito tutto un fervore di ricerche foriero senz’altro di nuove prospettive. Distrutta più volte e risorta subito dopo dalle proprie ceneri come l’araba Fenice Yria-Vereto giunge all’ultimo atto del dramma proprio al tramonto del primo millennio dell’era cristiana: le armate di Guglielmo il Malo re delle Due Sicilie si abbattono nel 1155 sull’antica fortezza messapica e la distruggono completamente lasciando dovunque terra bruciata. Da quell’anno la terra rossa che ricopre la solitaria collina attende invano che si esplori nelle viscere della propria storia.
L’abbinamento tra attuali centri abitati e antichi insediamenti scomparsi non si ferma, ovviamente, solo agli assi Patù-Vereto e Salve-Cassandra-S.Biagio, ma interessa contemporaneamente tutti i paesi limitrofi: si pensi per un attimo a Presicce legato come da un cordone ombelicale con il Casale di Pozzomauro individuato sulla collina a sud-ovest dell’attuale abitato, là dove oggigiorno è possibile ammirare una suggestiva cripta basiliana adattata per secoli anche a trappeto ed una chiesetta dallo stile essenziale e sobrio; si pensi alla favola bella di Tirea in territorio di Morciano lungo il confine con il feudo di Salve, in un contesto in cui arcaici ipogei caratterizzati da cisterne-granai a forma di pera e poderose muraglie tipicamente messapiche giacenti sotto una spessa coltre di terra rossa in contrada “Cipollaro”(3), spingono con forza la ricerca e il conseguente passaggio dal mito alla storia; si pensi, infine, all’abbinamento di Castrignano con l’altrettanto leggendario Casale di Criminò in direzi one est, in una totale mancanza di dati documentari.
Noi, comunque, vogliamo soffermarci un po’ sulla situazione relativa al triangolo Gagliano-Corsano-Alessano, nella quale la ricchezza delle fonti storiche e delle testimonianze in loco consente un approfondimento più completo. Sulla strada provinciale che da Gagliano del Capo porta a Corsano, all’altezza della stradetta che conduce a S.Dana, è esistito un villaggio medievale assurto poi alla dignità di Casale, il Casale di Valiano. Una svista dell’Arditi (4) ha impedito per molto tempo agli studiosi di venire a capo della situazione; oggi, attraverso quella miniera di informazioni di prima mano costituita dalle Relationes ad limina conservate presso gli Archivi Diocesani, dai Registri Parrocchiali dei Battezzati e dei Morti, e dagli Atti Notarili custoditi presso l’Archivio di Stato di Lecce, i termini della questione si presentano senz’altro con contorni più chiari e definiti. Gagliano era, per così dire, fiancheggiato da due Casali situati rispettivamente a nord e a sud dell’abitato, Valiano e Pulsano. Per quanto riguarda il primo, sappiamo con certezza che fu completamente distrutto nel corso dell’anno 1582; infatti da un Atto notarile rogato dal notaio Antonio Romano di Montesardo il 24 gennaio 1583, risulta che Cataldo Teco, ultimo sindaco di Valiano, estingue un debito di 18 ducati contratto l’anno prima dall’Università di Valiano ancora viva e vegeta con l’Università di Montesardo (5). Fra i documenti testimonianti la vita del Casale di Valiano riferiamo soltanto l’Atto rogato dal notaio Antonio Minioti di Lecce nel maggio del 1568, nel quale un certo Sebastiano Bleve, con una procura rilasciata dall’Università del Casale di Valiano, riscuote dalla Regia Camera della Sommaria di Lecce la somma di 2 ducati e 15 grana precedentemente pagata in più dalla medesima Università.
Sappiamo, infine, che nel Casale di Valiano c’erano due chiese, la Chiesa Madre di S. Martino e la Chiesa del Crocifisso; purtroppo non è rimasta neppure una pietra di questi sacri edifici: una furia devastatrice si è abbattuta sui luoghi, cancellando per sempre ogni testimonianza visiva. Eppure per secoli vi si è regolarmente officiato, anzi documenti risalenti agli anni 1618, 1621 e 1625 provano che a dispetto della scomparsa del Casale, a Valino la chiesa Matrice –anche se declassata al rango di Beneficio con arcipretura- continuava ad esercitare la propria funzione (6) mentre il Libro dei Battezzati di Montesardo, relativo all’anno 1661 (luglio), prova l’esistenza materiale della chiesa del Crocifisso di Valiano, in quanto nella stessa vi fu trovata una neonata cui venne dato il nome di Maria (7).
Quanto al Casale di Pulsano, è da dire che occupava la contrada a ponente dell’attuale centro abitato di Gagliano, dove oggi giganteggia il complesso gestito dai Padri Trinitari. Anche questo Casale fu distrutto nel sec. XVI, prima che prendesse piede il rito latino (l’Arditi riferisce che il primo parroco latino in Gagliano fu Giustiniano Lotto nel 1610), quando ancora la popolazione del piccolo insediamento era stretta attorno alla Chiesa greca di S. Elia. Nel 1613, grazie all’interessamento del Barone Giovanni Castriota Scanderbeg, fu costruito il convento dei Padri Paolotti, con annessa la bellissima Chiesa di S. Francesco da Paola in stile barocco. Il convento seguì le sorti proprie di tutti i monasteri d’Italia, con la soppressione voluta da Napoleone nel 1809, la riattivazione decretata il 21 gennaio 1856 e la successiva soppressione avvenuta dieci anni dopo durante uno dei momenti di massima tensione tra Stato e Chiesa.
C’è qualcosa, però, tra i due Casali in oggetto, che sa di misterioso, soprattutto se vogliamo procedere puntualmente ad un esame parallelo tra le scritture notarili dell’epoca e le tavole geografiche che nello stesso giro di anni venivano pubblicate in Italia: ci accorgiamo subito che dall’inizio del Seicento in poi non compare più il Casale di Pulsano, mentre stranamente quello di Valiano (riportato sempre come Vagliano) compare quasi costantemente addirittura sino alla fine del Settecento. Procediamo, comunque, con ordine:
- La carta più antica in cui compaiono Valiano e Pulsano (quest’ultimo riportato come Pulzano) è una carta manoscritta della fine del Cinquecento, appartenente alla collezione Silvestri, che contiene anche l’indicazione dei fuochi e dei toponimi sia costieri che interni della Provincia di Terra d’Otranto (8): in senso assoluto è il documento più prezioso sull’argomento in questione. Da esso apprendiamo che Valiano contava 126 fuochi (più di 600 abitanti), Pulsano 178 fuochi (quasi 900 abitanti), quindi due insediamenti di tutto rispetto che superavano –ad esempio- la consistenza demografica di paesi come Castrignano (113 fuochi), Corsano (147 fuochi).
- Nell’Atlante del Blaew (1631-1635) (9), in quello del Magini (1620) (10), in una tavola edita da Domenico de Rossi nel 1714 (11), nell’Atlante del Bulifon del 1734 (12) ed in una Tavola militare tedesca del Settecento (13) Valiano continua ad essere registrato con una ubicazione incredibilmente precisa (ad eccezione della Tavola del De Rossi), mentre Pulsano non compare mai.
- E’ da sottolineare, poi, che nella tavola pubblicata già nel 1703 dal Pacichelli nella sua celebre opera (14), Valiano non compare, come pure non compare il gemello Pulsano: prova evidente della grande precisione e sobrietà di questo lavoro così prezioso per la conoscenza del Meridione d’Italia a tutto il Seicento .
- Infine, a cominciare dall’Atlante dello Zatta (1783) (15) in poi Valiano non comparirà mai più.
A conclusione di questo rapido excurcus sulle più celebri tavole geografiche del Salento nei secc. XVI – XVIII, è facile capire che il Casale di Pulsano dopo la sua distruzione non figura più in nessuna tavola perché nel 1613 una nuova grande realtà - quella dei monaci seguaci della Regola di S. Francesco da Paola - sostituisce radicalmente il contesto preesistente, mentre il Casale di Valiano continua ad essere registrato per altri due secoli dopo il suo abbandono perché, pur avendo perduto la dignità giuridica di libera Università, ha continuato a svolgere fra gli abitanti residui una funzione di guida religiosa in virtù della propria chiesa superstite pur ridotta a Beneficio con arcipretura.
L’ultimo Casale di cui vogliamo tratteggiare qualche rapido cenno è quello di Macurano, ai piedi della collina di Montesardo, in territorio comunale di Alessano. Una serie di ipogei si impone all’attenzione per antichità e rilevanza: si tratta di grotte contigue ricavate scavando lungo il fianco di uno sperone roccioso, piccolissimi ambienti adattati dai Basiliani a luoghi di preghiera, ma sicuramente risalenti ad epoche ben più remote. La maggior parte degli studiosi concorda nel vedere in queste grotte le prime forme di insediamenti rupestri di un villaggio protomedievale. A pochi metri di distanza c’è una grotta molto grande con tre ampie bocche d’entrata, che si estende al di sotto di un banco roccioso, capace di accogliere uomini e animali in numero abbastanza elevato. Per secoli questo ambiente è stato usato come trappeto. A dire il vero la contrada di Macurano ha sempre attratto l’attenzione dell’uomo, accogliendo nel corso dei secoli vari insediamenti: nel Cinquecento è da individuare il periodo di massima vitalità del Casale che si vide arricchito da tre corpi separati di masserie fortificate e dalla chiesetta matrice di S. Stefano. Queste strutture si sono salvate e oggi sembrano tornare a nuova vita.
Fra i tanti, un documento in particolare ci sembra importante per il nostro discorso, un’annotazione di Mons. Giangiacomo Galletto vescovo di Leuca e di Alessano nel Libro dei conti relativo agli anni 1565-1572 : “A dì 9 Aprile 1571 vaca l’arcipretura di Macurano nel vocabolo Sancti Stifani et Sancte Lucie per la morte di don Colilla Romano”. Documenti successivi, che ovviamente non possiamo qui analizzare, attestano che dopo il 1571 non ci furono più parroci a Macurano e che da quell’anno iniziò l’abbandono inesorabile del Casale.
Dall’accertamento dei fatti attinenti la nascita e l’abbandono di antichi insediamenti nel Capo di Leuca scaturisce una conclusione inoppugnabile: il destino che ha caratterizzato questa estrema punta della penisola salentina non poteva essere diverso da quello che è stato, nel senso che si è trattato di un territorio esposto per via naturale in prima fila - come un ponte rivolto ad Oriente- agli sbarchi di tutti i popoli provenienti dall’opposta sponda dell’Adriatico - dai Messapi agli Iapigi, dai Greci ai Barbari, dai Saraceni ai Turchi, ai pirati di tutte le stagioni -, in un turbinio continuo di devastazioni e successive ricostruzioni: limitatamente alla scomparsa dei Casali di Valiano, Pulsano e Macurano - verificatasi sostanzialmente nello stesso giro di anni - la causa determinante è costituita sicuramente dalla grave e continua minaccia della pirateria turchesca che nel sec. XVI tenne in ginocchio l’intero Occidente. Il 22 luglio 1547 si era abbattuta come un ciclone proprio su Gagliano e dintorni l’incursione barbaresca del famigerato pirata Dragut portando ovunque distruzione, morte, razzie, deportazione di abitanti venduti poi all’incanto come schiavi sulle piazze d’Oriente. Non potendo il dislocamento frazionato della popolazione su più luoghi offrire valide garanzie in ordine al sistema di difesa dagli attacchi esterni, diventava più che opportuno trasferirsi nei centri viciniori meglio fortificati: il resto è storia più vicina a noi.
NOTE
1) Jean-Paul Descoeudres – Edward Robinson, La “Chiusa” alla masseria del Fano, Martano Editore, Lecce 1993.
2) Cesare Dauino, I Messapi e Vereto, Capone Editore, Cavallino 1991.
3) Ibid., pagg. 256 – 257. Cfr. Cesare Daquino, I Messapi nel Capo di Leuca, in “Lu Lampiune”, Quadrimestrale di Cultura Salentina, Anno XV, n° 1, pagg. 19-21, Edizioni del Grifo, Lecce 1999.
4) Giacomo Arditi, La Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, pag…, Ristampa anastatica, Forni Editore, Sala Bolognese 1979.
5) Antonio Romano, Atti notarili, Vol. 1°, ff. 22r . 22v,, “Cataldus Theco Casalis Valiani”,Archivio di Stato, Lecce.
6) Nicola Antonio Spinelli, Relatio al limina, 17 novembre 1618, Archivio Diocesano di Ugento: “… Casali diruti di Macurano e Pulsano e altri due benefici con arcipretura detti Valiano e Valuri”.
7) Libro dei Battezzati, luglio 1661, Archivio Parrocchiale di Montesardo.
8) Franco Silvestri, Imago Apuliae,Capone Editore, Cavallino 1986.
9) Ibid., Tav. 13
10) Ibid., Tav. 11
11) Ibid., Tav. 23
12) Ibid., Tav. 19
13) Ibid., Tav. 29
14) Ibid., Tav. 21
15) Ibid., Tav.26