I frantoi ipogei sono luoghi dal fascino unico, antiche strutture scavate interamente nella roccia dove un tempo avveniva la spremitura delle olive e la conservazione dell’olio. Un mondo rurale sotterraneo che conserva la memoria storica di un territorio, di generazioni di ulivi e contadini che per secoli hanno coltivato la risorsa più preziosa di questa terra.
Per gran parte dell’anno, i frantoi ipogei diventavano il cuore pulsante di ogni paese del Salento, accogliendo le fatiche e la dedizione della gente del luogo. Questi frammenti di vita sono ancora custoditi tra i ricordi di qualche anziano e nel silenzio delle pietre nascoste. Grazie a una rinnovata sensibilità, molti frantoi ipogei sono emersi dall’oblio e, sapientemente ristrutturati, riescono a trasmettere l’anima storica di questi luoghi. Il labirinto degli ipogei del Salento, che si snoda sotto i nostri passi, è ampio e aspetta solo di essere scoperto e di raccontare la sua storia.
Per questo motivo, una vacanza nel Salento a Torre Vado può essere l’occasione per una visita ai frantoi ipogei. Sarà un viaggio affascinante e inaspettato alla scoperta di questo mondo sotterraneo, dei legami che ha avuto con il mare di Gallipoli e dei bastimenti carichi dell’olio salentino, l’oro che per secoli ha illuminato le strade e i palazzi delle più grandi città d’Europa.
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La coltivazione dell’olivo era diffusa in Puglia da secoli, ma con l’arrivo dei Bizantini, l’olivicoltura riprese vigore, caratterizzando in modo incisivo l’intero paesaggio salentino e la vita dei suoi abitanti. Sfruttando i dislivelli naturali e le grotte rupestri, anche vicino alle cripte, i monaci e i contadini realizzarono i primi frantoi ipogei. Nelle campagne alla periferia di Presicce e nei dintorni di Salve ci sono ancora testimonianze di queste strutture arcaiche.
La svolta avvenne nel corso del 1500 quando l’antica Terra d’Otranto, ricoperta di uliveti e grande produttrice di olio, diventò il centro più importante del Mediterraneo per la sua commercializzazione. Da allora, ovunque in Puglia e nel Salento in particolare, si moltiplicarono i frantoi ipogei a grotta, scavati nella roccia. Venivano realizzati sotto edifici già esistenti, solitamente nell’abitato, garantendo maggiore protezione in caso di incursioni. Inoltre, la scelta del sotterraneo permetteva un risparmio economico e la possibilità di beneficiare delle temperature ideali per la lavorazione delle olive e la conservazione dell’olio.
Centri come Morciano di Leuca, Presicce, Salve, Vernole, Noha e Gallipoli vantavano il numero più alto di frantoi ipogei. Solo a Presicce pare ce ne fossero più di 20, tanto da essere definita la città sotterranea, mentre Gallipoli ne contava più di 30, tutti a due passi dal porto da cui transitava la maggior parte dell’olio lampante commerciato nel Mediterraneo.
Dalla città bella sullo Ionio ogni giorno salpavano i vascelli con l’olio destinato alle grandi città europee: Londra, Parigi, Stoccolma, Vienna, che illuminavano le loro strade con l’olio salentino, apprezzato per le sue qualità particolarmente adatte per ottenere una luce limpida e pulita. A Gallipoli si insediarono commercianti veneziani e napoletani, e diversi paesi europei come Francia e Inghilterra ottennero rappresentanze consolari in città. Inoltre, la Borsa di Londra elaborava il prezzo dell’olio in base alle quotazioni salentine. Gallipoli era diventata la Capitale Mondiale dell’olio lampante.
Alcuni dei più antichi frantoi ipogei rimasero in funzione fino al 1900 circa, sostituiti poi da strutture più moderne e funzionali. Molti altri caddero nell’oblio, coperti dalle nuove costruzioni, mentre altri ancora furono intercettati durante lavori e riportati a nuova vita grazie all’opera di volontari appassionati.
A Morciano di Leuca, durante i lavori di rifacimento della strada nel centro storico, vennero alla luce alcuni frantoi ipogei ricavati da antichissimi granai di origine messapica. Il soffitto delle strutture sotterranee contiene ancora le botole in pietra che un tempo chiudevano queste cisterne nella roccia dove probabilmente si conservava il grano.
Il nome olio lampante trae origine dall’uso di questo olio d’oliva per alimentare le lampade ad olio, prima dell’avvento dell’elettricità e del gas. Se oggi il riferimento all’olio salentino è quello dell’olio extravergine di oliva con le sue proprietà organolettiche, in passato l’olio prodotto era meno pregiato, con un alto grado di acidità, non proprio gradevole al gusto e all’olfatto. Veniva utilizzato in minima parte per l’alimentazione umana, mentre il resto veniva commercializzato come olio lampante.
L’olio del Salento era particolarmente apprezzato e molto richiesto per le sue qualità di lucentezza e purezza, che rendevano la fiamma della lampada più chiara e brillante. Queste proprietà l’olio le acquisiva grazie al luogo di produzione e conservazione, con la giusta temperatura e umidità. A contatto con la pietra, l’olio decantava e raggiungeva la purezza necessaria per ottenere una fiamma lucente e pulita, senza fumi e odori.
Queste caratteristiche avevano conquistato le città più importanti d’Europa come Londra, Parigi, Stoccolma, Vienna, le capitali russe e anche quelle d’oltreoceano. L’olio lampante del Salento raggiungeva i porti del Mediterraneo e salpava per il Nord Europa e l’America. Per oltre due secoli, i viali delle grandi capitali, i candelabri delle cattedrali e i palazzi dell’aristocrazia brillavano grazie all’oro del Salento!
Gallipoli non è stata solo la Capitale dell’olio lampante ma anche un centro produttivo nella fabbricazione del sapone solido bianco. Dal sottoprodotto della lavorazione delle olive infatti si ricavava il componente essenziale per la preparazione del sapone di Marsiglia così ampiamente rivalutato negli ultimi anni grazie alle sue qualità ed effetti benèfici sulle pelli anche più sensibili.
Sembrerebbe infatti che ancor prima dei francesi, le comunità gallipoline avessero “scoperto” la ricetta per la creazione di un sapone vegetale sempre più richiesto dai mercati. Seguendo le rotte dell’olio lampante sbarcò nei porti di tutta Europa. Nacque una vera e propria industria che affiancava quella più ampia dell’olio lampante, creando un indotto di operosità fatto di artigiani, di venditori ambulanti, taglialegna e raccoglitori di cenere. Il sapone di Gallipoli viaggiò in lungo ed in largo per tutto il Salento fino ad arrivare perfino alle lanerie inglesi.
Se siete in vacanza a Torre Vado o nelle marine e paesi vicini, cogliete l’opportunità di visitare i frantoi ipogei per scoprire queste meraviglie sotterranee che raccontano la storia millenaria del Salento.
Il frantoio ipogeo, chiamato Trappitu in dialetto salentino, disponeva degli ambienti necessari per la molitura delle olive e la conservazione dell’olio. All’interno si trovavano anche un camino con dispensa per preparare i pasti per i trappatari (operai), nicchie per il riposo, giacigli e mangiatoie per l’asino o il mulo. Una rampa di scale scavata nella roccia conduceva alla vasca della macina, dove le olive venivano introdotte da un foro nella volta e vi rimanevano per settimane per caricarsi di acidità. Dopo la molitura nella grande vasca con le macine azionate da un mulo, la pasta untuosa si raccoglieva nei fisculi e veniva pressata. L’olio scendeva per gravità nel pozzo dell’Angelo per la decantazione. La temperatura costante della roccia scavata contribuiva alla qualità del prodotto che si conservava all’interno di grandi pile in pietra. I torchi alla Calabrese a due viti e utilizzati per i primi frantoi ipogei erano quelli più diffusi nel Salento e solo nel corso del XIX secolo iniziarono comparvero anche quelli alla Genovese con una sola vite ma con una struttura più complessa.
La vita nel frantoio ipogeo era estremamente dura. Da novembre ad aprile, durante la raccolta delle olive, questi luoghi si animavano di vita, con uomini e animali che condividevano spazi e fatiche. Il capo Nachiro, figura centrale nel frantoio, sovrintendeva a tutte le operazioni, mantenendo l’armonia e pianificando i turni di lavoro. Proprio come il comandante di una nave, il Nachiro guidava la sua ciurma, la stessa che, durante l’estate, lo affiancava nei viaggi per mare lungo le coste del Salento. Infatti, per molti mesi dell’anno, i trappatari, veri marinai di professione, lasciavano il mare per vivere nei frantoi ipogei, che diventavano la loro casa fino all’estate, quando tornavano a solcare il mare verso nuovi orizzonti.
Nella penombra degli ambienti, illuminati solo dalla luce delle lanterne, i turni di lavoro erano massacranti, sia per i muli che azionavano le macine sia per gli uomini addetti alla torchiatura. Non era permesso allontanarsi dal frantoio, con la sola eccezione delle festività religiose come l’Immacolata, Natale, Capodanno e la festa del Santo Patrono.
Passeggiando tra i vicoli di Morciano di Leuca circondati da case a corte e palazzi nobiliari si trova Via Roma, una strada particolarmente suggestiva e che un tempo la gente del posto invece conosceva con il nome di “Via delle Sterne“. Lungo tutto il percorso che una volta conduceva alla città messapica di Vereto infatti questa strada era “bucherellata” da tante cisterne appunto, ampi depositi scavati nella roccia di antica origine e probabilmente utilizzati per la conservazione del grano. Morciano al tempo dei Messapi pare fosse il luogo principale destinato a questo scopo.
Nel corso del tempo molti granai sono stati abbandonati o destinati ad altri usi, spesso accorpati nelle abitazioni private e ancora oggi visibili. Molti altri invece furono adattati a strutture per la lavorazione delle olive un’attività economica molto fiorente nei secoli passati. Come è accaduto per molti edifici antichi, il loro riutilizzo e la loro diversa destinazione costituiva un vantaggio in termini economici in quanto gran parte del lavoro di scavo era già stato fatto. In questo caso però il voler utilizzare ambienti sotterranei nasceva anche dalla necessità di avere luoghi di lavoro ad una temperatura costante.
Frantoi e antichi granai in Morciano sono venuti alla luce già a partire dal 1917 nel corso di esecuzione di alcune opere pubbliche. Altri ancora sono emersi in seguito ai lavori di riqualificazione del centro storico di Morciano nell’estate 2006. Dei numerosi ipogei e granai emersi molti conservano ancora oggi l’imponente chiusura originale in un unico blocco di pietra. I 26 tondini che troverete sul calpestio del centro ne segnalano la presenza. Insomma, una Morciano sotterranea tutta da scoprire e valorizzare.
Morciano di Leuca è costellato da numerosi frantoi ipogei, disseminati su tutto il suo territorio. Nel centro storico se ne trovano ben diciotto, a testimonianza dell’importanza economica che l’industria olearia aveva per il paese in passato. Alcuni di questi frantoi sarebbero molto antichi e spesso realizzati rompendo le pareti laterali dei granai di epoca messapica. Sebbene gran parte di questi granai siano stati distrutti, alcuni sono ancora intatti e conservano la loro lastra originale di chiusura. L’ipogeo probabilmente più antico utilizzato fino al 1700-1800 si trova nei pressi del Palazzo Cacciatore, tra Casa Corciulo e la Chiesa Madre e conserva nel suo interno una grossa ruota di calcare. Tra il Castello e Via Castromediano si trova un altro ipogeo di grandi dimensioni al pari di quello posto tra via Nuova e via Roma. Un altro frantoio ipogeo si trova in Via Pace e Largo S. Giovanni ed un altro ancora nei pressi dell’ingresso laterale del Palazzo Municipale e poi ancora tra il Palazzo Strafella ed il Palazzo Cacciatore.
Gran parte di questi ipogei e altri che attendono di essere portati alla luce, sono di proprietà privata. Il frantoio di proprietà comunale e con l’ingresso nei pressi di Piazza San Giovanni dovrà essere ristrutturato e quindi presto ci auguriamo potrà essere restituito alla comunità e a tutti coloro che vorranno visitarlo.